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Pudiche e selvagge forme di porcellana.

 

Il piacere è quando un’artista sta dicendo qualcosa. Vuole dirlo davvero, con passione. Quando lo fa con le mani, come un ceramista deve fare, e quando lo fa con la parola, che resta il luogo in cui cerchiamo di vederci più chiaro.
Oserei dire, anche quando hai l’impressione che il discorso sembri appena iniziato. E che ci sia ancora tanto, ma tanto, da dire
.
Questo è il piacere che Sandra Baruzzi ti regala.
Il momento clou è stato quando mi ha mostrato le “cose”. Queste splendide, emozionanti, delicate, trasparenti, ma anche forti, frastagliate, rotte, indiscrete, pudiche e selvagge, forme di porcellana.
Hai l’impressione che raccolgano sulla loro superficie, attraendoli con poteri misteriosi, tutti i temi della sua ricerca artistica ed esistenziale
C’è il corpo, la sensualità, il pensiero che indaga oltre la superficie, passando per le pieghe, le rughe. C’è la commozione per l’umanità sofferente e marginale. La commozione per i deboli della terra. C’è la cura della sorgente emotiva del fare arte e c’è la voglia di uscire dal godimento intimistico e andare incontro alla condivisione. C’è la critica per la stupefacente banalità della cultura mondana e c’è l’accettazione del segreto mistero della vita. Il segreto che si rivela soprattutto nell’accettazione della perdita. Del perdere. Del rinunciare a vincere. Per essere nella corrente sensibile della vita.
C’è la voglia di guardare oltre la buccia del mondo. E questa è arte. Fa parte dell’arte il voler vedere oltre. Il volere mettere in chiaro ciò che finora è stato lasciato nell’ombra. Ma farlo come un’esplorazione del possibile. Di un significato che ancora non è racchiuso nella mano, ma che attrae come un amante segreto, come un mistero – appunto.
Certo, Sandra ti parlerà della difficoltà di questo materiale: la porcellana. Una terra finissima, difficile da plasmare. Non puoi fare un errore per distrazione che “lei” non ricordi al momento della cottura. Una sfida, dunque. Ma anche l’opportunità di un discorso unico, di un’audacia espressiva inedita, inusuale.
Se hai da dire qualcosa che non è facile dire, è bene che tu cerchi un materiale all’altezza della situazione. La porcellana è stato il materiale giusto per le cose che Sandra Baruzzi vuole dire.
Se hai da dire qualcosa che non è facile dire, è bene che tu cerchi un materiale all’altezza della situazione. La porcellana è stato il materiale giusto per le cose che Sandra Baruzzi vuole dire.
Innanzitutto – credo – la straordinaria e commovente capacità del corpo di dire di sé, di raccontare la storia personale, di esprimere talvolta l’indicibile. Le ferite della pelle, le rughe del volto… I segni che la vita ha lasciato sulla carne sensibile. Ma anche l’estasi dei momenti silenziosi, che non hanno bisogno di parole. E perfino l’intensità del gustare il cibo, il vino, il nettare delle cose.
Che ricchezza di senso rispetto al discorso urlato e ottuso della civiltà dell’immagine, del corpo restaurato, del lifting, della incredibile superficialità dell’apparire!
I tagli sulla pelle, le rughe di una vecchia, come la fragilità frastagliata della porcellana. Le pieghe e le ferite, come canali che portano a fondo.
Il corpo sentito dall’interno, il corpo guardato con curiosità e commozione, soprattutto il corpo dolorante, o rivelatore dell’oceano di dolore che attraversa la nostra umanità.
Se parli di questo con Sandra, le vedrai gli occhi umidi. Sandra ha il dono delle lacrime. E attraverso questa commozione ci riporta alla nostra dimensione umana di esseri senzienti. I suoi studenti lo intendono. Lo intendono i suoi amici. E non conviene guardare le sue sculture di porcellana con gli occhi freddi dell’osservatore distaccato. I suoi panni di porcellana sono commozione allo stato puro.
Commozione, probabilmente, del fatto di essere vivi, di vedere, di sentire, di avventurare il nostro linguaggio, di esplorare, sì, certo, i materiali, ma anche più in generale, la vita. È la commozione più fondamentale, quella che ti apre gli occhi al mattino, quella che guida il tuo approccio alle persone, quella che accetta di perdere ciò che sembrava… e non è più.
Anche quella che ci assicura di sfuggire alla presa del tempo e di guardare la morte stessa come una porta attraverso cui spingere la ricerca d’amore. Paradossalmente, queste strutture fredde e rigide nella porcellana trasparente, sono nate da panni, caldi addosso ai corpi vivi. I corpi dell’infanzia, dove si è deciso molto del nostro destino. I corpi caldi dell’amore, della sensualità, dove la parola è mancata, lasciando spazio al sentire e al mistero. I corpi del dolore, della sofferenza, che hanno parlato innanzitutto inarcandosi, piegandosi, screpolandosi. Delle immagini, sulla superficie ondulata, come le increspature della vita, richiamano tutte il calore di momenti intensi e pregni di sentire, di pensare, di trafficare con la carne calda del mondo.

E infine, non posso non trasalire, pensando all’effimera potenza della carta, che ha servito da letto per l’adagiarsi della forma e ormai svanita nel fuoco. È quest’assenza sacrificale che mi parla profondamente del senso di quest’arte di Sandra Baruzzi. La fragilità e l’immane potenza dell’effimero. Chissà che non sia in questa dimensione “perduta” il cuore del pulsare appassionato dell’artista?

Eugenio Guarini


scaglie di vita

drappeggio
 

dune al vento

groviglio d'orizzonti
 
fessura al tramonto

maternità

onda dell'abbandono infranta
 
intreccio sospeso
 
ritratto d'autrice